Yves Parlier, l’extraterrestre che ripiantava alberi
Il 17 dicembre 2000 sono tre navigatori a contendersi la testa della quarta edizione del Vendée Globe, il giro del mondo senza scalo e senza assistenza per solitari. Mentre la flotta è molte miglia dietro le loro poppe, Michel “Le Professeur” Desjoyeaux, Roland “Bilou” Jourdain e Yves “L’extraterrestre” Parlier, sono già in pieno Oceano Indiano. Parlier ha guidato tutta la discesa dell’Atlantico, ma dopo capo di Buona Speranza gli altri due si sono fatti più aggressivi. Nessuno ha voglia di mollare, si regata per un giro del mondo come se fosse una regata da un giorno, si tira al massimo sempre, senza sosta.
Ma quando si porta l’attrezzatura all’estremo il rischio che qualcosa vada storto diventa spesso una drammatica realtà. Così quel 17 dicembre l’albero di Aquitaine Innovation conferma quanto appena detto e si spezza in tre parti dopo che l’Open 60′ dell'”alieno” si pianta nel cavo di un’onda gonfiata dai venti rabbiosi che imperversano qui nei mari del sud, alle latitudini dette dei “50 urlanti”. In queste condizioni, al largo delle isole Kerguelen, probabilmente tutti gli altri navigatori avrebbero abbandonato la regata, per mettere la prua su Perth, in Australia, distante solo 1500 miglia e arrivare là con un armo di fortuna minimo.
Tutti, ma non Parlier. Così, l’allora 41enne laureato in ingegneria dei materiali compositi comunica al suo team a terra che non ha intenzione di ritirarsi: «Non vedo altra soluzione che tentare di ridare delle ali al mio grande uccello blu per finire questo giro che avevamo così ben incominciato». Punta verso l’isola Stewart, a sud della Nuova Zelanda, e comincia la sua vera sfida: dare un nuovo albero alla sua barca utilizzando i monconi che ha riportato in barca e quello che ha a bordo. Il regolamento di regata è il primo ostacolo: afferma che non si può effettuare scalo, quindi non è possibile effettuare la riparazione fermi a terra.
La prima impresa è togliere ciò che rimane dell’albero, senza danneggiarlo ulteriormente. Sega i pezzi sfrangiati e lavora l’enorme profilo alare in carbonio. Le sue mani sono nere di schegge che lo pungono in ogni centimetro di pelle raggiugibile. Freddo, fatica e dolore sono i compagni di queste ore. Terminata la pulizia iniziale, costruisce il maschio che servirà per inserire il pezzo inferiore dentro la metà femmina ricavata dalla parte superiore spezzata. Per non dare fondo alle riserve di cibo, misurate per una durata stimata di un centinaio di giorni in mare, Parlier sfrutta l’unica possibilità che gli dà il regolamento di toccare terra solo nel momento di massima alta marea.
Così dopo essersi costruito una zattera utilizzando delle taniche vuote e una pagaia di fortuna, si infila la tuta di sopravvivenza e arriva a terra per cercare delle conchiglie attaccate alle rocce. A questo punto rimane solo il problema di dover saldare i due pezzi di albero. Così si costruisce un forno di fortuna dove cuocere la resina che deve tenere la fibra di carbonio posta intorno alla giuntura: utilizza una metallina (quel foglio di metallo utilizzato come coperta per ristabilire l’equilibrio termico delle persone) come contenitore e delle lampadine di rispetto come fonte di calore.
A questo punto, deve solo rimettere in piedi il suo nuovo albero. Con un complesso gioco di tiranti e di rinvii, dopo una settimana Parlier ha un nuovo albero di 18 metri, una decina in meno rispetto alla partenza, ma ottimo per tornare verso casa. Così, una settimana dopo essere arrivato monco all’isola Stewart, Aquitaine Innovation e il suo skipper ripartono per terminare il giro del mondo. Durante la risalita il morale è alto, in una intervista rilasciata al quotidiano francese Libération il 21 febbraio 2001 Parlier si dimostra sicuro di poter tornare a casa con le proprie forze, dichiara che la barca avanza con un buon passo e che l’albero bricolage è più solido di quanto si aspettasse.
Malgrado le circostanze l’extraterrestre non si considera affatto in galera anche se ammette di avere alcune difficoltà con le riserve di cibo. Così integra con ciò che riesce a prendere dal mare, soprattutto alghe e tutto ciò che risulta “innocuo”. Nonostante sia una circostanza psicologicamente molto difficile non la considera invivibile. E così, avanzando a una media di 12 nodi, termina il suo Vendée Globe al 13esimo posto dopo 126 giorni, 23 ore e 36 minuti, cinque giorni dopo il compianto Simone Bianchetti e quasi un mese prima dell’ultimo classificato di quella edizione, l’italiano Pasquale De Gregorio: “sono il più orgolgioso degli uomini: mi lascio trasportare dalla attenzione e dall’entusiasmo della folla che mi è venuta ad accogliere” dichiara Parlier.
Tuttavia la sua perseveranza non è stata da tutti salutata con parole di elogio. Molti navigatori lo hanno accusato di aver dato argomenti a chi scrive di rubriche di curiosità piuttosto che di sport. Lo stesso Michel Desjouyeaux, vincitore di quella edizione (oltre che di altre tre) ha dichiarato: “Quello che ha fatto Parlier è incomprensibile, a meno che non sia stato pagato dal suo sponsor per farlo. Non vedo l’interesse in tutto ciò, a meno che non abbia l’intenzione di scrivere un libro sulla sopravvivenza”. In risposta, l’extraterrestre ha semplicemente spiegato che secondo lui “il Vendée Globe possiede due facce: l’avventura e il lato sportivo. L’aspetto sportivo è terminato il 17 dicembre, ma l’avventura, lei, continua. Lei stessa è molto più ricca di quanto sarebbe successo se non avessi disalberato e un’avventura così non avrò più occasione di viverla”.