Vendée Globe: l’Everest della vela

3 MIN 13 Ottobre 2016

Il Vendée Globe è l’Everest della vela. Anzi, L’Everest de la mer, come la definiscono i francesi che l’hanno inventata e dominata sin dalla prima edizione, nel 1989. Dal 1992-93 si disputa ogni quattro anni e detta in dieci parole: è la regata più impegnativa che un velista possa affrontare. Il giro del mondo in solitario senza scali e senza assistenza. Una prova che un navigatore come Giovanni Soldini, vincitore dell’Around Alone (oggi Velux 5 Oceans), il giro del mondo in solitario a tappe, non ha mai voluto affrontare perché secondo lui troppo pericolosa. Tanto complessa quanto semplice nelle regole: vince il primo concorrente che a bordo di un monoscafo lungo 60 piedi torna per primo a Les Sables d’Olonne, in Vandea, sulla costa ovest francese, dopo aver circumnavigato in senso orario il continente antartico, sulla cosiddetta rotta dei clipper, lasciandosi a sinistra i tre mitici capi: in ordine di apparizione Buona Speranza, in Africa; Leewin, in Australia; e Horn, in Sud America. Si parte a novembre e in genere si torna tra gennaio e febbraio… se si torna, perché, statistiche alla mano, solo il 50 percento dei partecipanti riesce a riportare la barca a casa.

 

E per tre volte non è tornato a casa neanche il velista. L’edizione più crudele in termini di vite umane pagate fu la seconda, l’inglese Nigel Burgess e l’americano Mike Plant; l’ultima vittima, il canadese Gerry Roufs nel 1996. Sembra un curioso gioco del destino che tutti i dispersi fossero di lingua inglese nonostante il maggior numero dei partenti sia francofono. Ma anche senza arrivare all’estremo sacrificio, l’eliminazione dei concorrenti è sempre comunque elevatissima.
Una buona parte dei ritiri li impone l’Oceano Atlantico i primi giorni di regata. Per consentire ai navigatori di affrontare le temibili rotte meridionali durante l’estate australe, la partenza è data nel momento in cui sulle coste atlantiche europee arrivano le perturbazioni di metà autunno. Burrasche da 50 nodi che anche se a poche miglia dalla partenza spesso abbattono più alberi – e distruggono più scafi – di quanto poi accada nel resto della regata, che comunque prevede una buona parte della navigazione da compiere tra i 40 ruggenti e i 50 urlanti. Tanto per capirsi: 40 e 50 sono i gradi di latitudine sud, i participi, invece, indicano i suoni che mare e vento regalano alle orecchie di chi si trova da passare da queste parti. E da queste parti, in queste condizioni e tirando il collo a se stessi e alla barca per arrivare prima degli altri, capita di farsi male. E capita anche di essere così lontani dalla terra ferma che nessuno può aiutarti anche se non ti importa più di essere squalificato: non è permesso l’intervento neanche del medico.
È stato durante questa regata, per esempio, che il francese Bertrand de Broc, nel 1993, a causa di un colpo violento contro la drizza della randa, si ritrovò con la lingua aperta in due. E così, non volendo (e in realtà neanche potendo) essere aiutato, dopo un consulto via telex con il medico a terra si ricucì la lingua da solo. Roba da chiodi, anzi da ago e filo in questo caso. Ma non è questo che spaventa chi cerca di scalare l’Everest dei mari. E solo i migliori possono provarci: per partecipare devi avere terminato un’edizione precedente di questa regata oppure devi avere concluso una competizione transoceanica in solitario. E occhio, che se non lo hai fatto con la stessa barca con cui partirai per il Vendée, hai bisogno di almeno altre 2500 miglia di qualificazione. C’è da dire che tanta selezione e tanta difficoltà hanno dato i loro frutti nel tempo. In poco meno di 30 anni sono diminuite fino a sparire le morti in mare e sono migliorate in maniera incredibile le prestazioni.
I tempi di percorrenza sono scesi in maniera drastica: nel 1989, Titouan Lamazou con il suo Ecureuil d’Aquitaine II tagliò la linea d’arrivo dopo 108 giorni e 8 ore; nel 2012-13 il giovane François Gabart con Macif ha impiegato poco più di 78 giorni per completare il giro: un mese di meno. Ma non è stato l’unico record segnato nell’edizione 2012-13 del Vendée Globe, a partire da quello di percorrenza in solitario nelle 24 ore, più volte migliorato da più concorrenti e fissato alla fine sempre da Gabart con 534,48 miglia a una media di 22,27 nodi (difficile anche tenerlo a motore, per un solitario).

 

Record anche nella distanza di tempo tra il vincitore e il suo inseguitore: dopo 21600 miglia nominali di regata, Armel le Cleac’h e il suo Banque Pupulaire sono arrivati sul traguardo solo tre ore e 17 minuti dopo il primo: il più breve distacco nella storia della gara. Così come i 26 giorni di distacco tra il solito Gabart e l’ultimo concorrente arrivato, l’italo francese Alessandro Di Benedetto su Team Plastique, è il minore nella storia della corsa.

 

A novembre 2016 parte la settima edizione, con una grande aspettativa su ciò che potrebbe accadere. Molte delle barche di punta sono infatti della nuova generazione di Imoca 60 “volanti”, con delle appendici idrodinamiche in grado di sostenere per più tempo la barca fuori dall’acqua, a vantaggio di medie di percorrenza ancora più alte. Non ci resta che aspettare per vedere che cosa ci riserverà ancora il Vendée Globe.

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