J Class

5 MIN 28 Novembre 2016

Se non fosse per Steve Jobs i telefoni avrebbero ancora una tastiera manuale, i Nokia sarebbero tuttora il brand di riferimento e l’ispirazione non farebbe parte delle nostre comunicazioni.

Se Elisabeth Meyer non fosse stata un’appassionata di yacht a vela, la J Class sarebbe solo un ricordo e ci sarebbe solo un modo per vedere i miglior yacht da corsa mai costruiti, barche che ammaliarono i più grandi imprenditori dei due secoli passati, ovvero nelle immagini in bianco e nero di Becken di Cowes, pioniere della fotografia degli yacht, scattate all’inizio degli anni Quaranta. Ancora oggi sono imbarcazioni che rubano la scena e c’è da chiedersi come sia stato vederle per la prima volta in mare: sloop di 35 metri, monoalbero, con uno spinnaker da 1800 metri quadrati e 30 persone di equipaggio. Se la J Class è così famosa oggi, tanto che sono stati costruiti negli ultimi nuovi modelli su progetti d’epoca, lo si deve alla 31enne Americana.

 

Elisabeth Mayer

Elisabeth, nipote del banchiere Eugenio Meyer Jr, che, nel 1933 comprò il Washington Post, il giornale passò poi alla zia Katherine Graham, editore durante lo scandalo Watergate negli anni Settanta, non si considerò mai un’ereditiera. Afferma, e ci sono le prove, che costituì il suo patrimonio vendendo e acquistando terreni.

Nel 1984 durante una navigazione attraverso il Solent su Velsheda, un J Class miracolosamente sopravvissuto, Elisabeth lavorava ad un articolo sugli yacht britannici dell’età d’oro della vela. Girando in cerca di materiale per l’articolo, si trovò in un cantiere navale dove riconobbe Endeavour, un J Class inglese costruito per Sir T.O.M Sopwith, in stato di abbandono. Sopwith aveva costruito non solo più di 16.000 aerei durante la seconda guerra mondiale, ma anche la leggendaria Endeavour, per partecipare all’America’s Cup: si trovò in un cantiere navale dove riconobbe Endeavour. Dopo Endeavour puntò Shamrock V, un J Class commissionato da Sir Thomas Lipton, il tycoon del the, per la sua quinta e ultima America’s Cup, nel 1930. Iniziò così il refit del primo yacht inglese costruito dopo l’entrata in vigore dell’Universal Rule, istituita dal geniale architetto navale Nathanael Herreshoff: aveva assegnato delle lettere dell’alfabeto alle imbarcazioni, in relazione alla loro lunghezza: Q la più piccola, J la più grande.

 

shamrock

Nel 1989 i due yacht potevano riprendere il mare. Si partiva da Newport, base per 132 anni dell’America’s Cup, al timone di Endeavour Gary Jobson e di Shamrock V Ted Turner, il presentatore della CNN. All’arrivo li aspettava Jacqueline Onassis che, via radio, chiese nella sua inconfondibile voce sussurrante di salire a bordo. C’erano più di tremila barche all’evento, molte più del 1937, all’epoca in cui i J Class erano barche quasi divine. Per quanto affascianti e magiche, rappresentavano un ovvio spreco di denaro, considerato il periodo storico e il fatto che come scopo avevano solo il piacere personale. Lipton aveva speso 1 milione di dollari per la sfida del 1930 e i membri del New York Yacht Club fecero costruire 4 J Class per avere un defender. Come paragone: il salario medio di un lavoratore era di 750 dollari all’anno.

 

Onboard Shamrock V (JK3) during the Regates Royales in Cannes, France. Shamrock V was built in 1930 for Sir Thomas Lipton's fifth and last America's Cup challenge. Designed by Nicholson, she was the first British yacht to be built to the new J Class Rule and is the only remaining J to have been built in wood.
Onboard Shamrock V (JK3) during the Regates Royales in Cannes, France.

Dei 10 J Class costruiti, nove rimasero su carta e altri 5 furono convertiti in J Class craft, di cui sei americani e quattro inglesi: sono rimasti solo quelli che battevano la Union Jack. La loro buona fortuna in termini di longevità fu direttamente proporzionale agli svantaggi che dipendevano dal Regolamento di classe.

Fino alla fine della seconda guerra mondiale, difatti, lo sfidante doveva costruire le barche nel suo paese, regola valida anche oggi, e arrivare nel luogo della sfida senza alcun aiuto esterno, mentre oggi si possono usare aerei e navi. Così mentre gli Yankee varavano barche leggere in pratica daylysail senza interni, gli inglesi si dovevano preparare per la traversata oceanica.

Eppure, grazie a determinazione e innovazione, gli inglesi arrivarono molto vicini alla vittoria. Endeavour di Sopwith fu sconfitta da Rainbow di Harold “Mike” Vanderbilt, erede della dinastia delle ferrovie e dei cargo navali, solo perché l’equipaggio professionale di Sopwith si mise in sciopero due giorni prima dell’inizio della gara. Al posto dei professionisti furono ingaggiati un gruppo di amici con molto entusiasmo ma poca esperienza. Nessuno comunque arrivò così vicino a soffiare la Coppa agli Americani fino al 1989, quando gli Australiani portarono la Coppa a Perth.

 

Argentario Sailing Week Trofeo Panerai

Il problema dei J Class era legato ai progetti, di alti livello per tutto: materiali costosi come l’alluminio per l’albero, l’acciaio per lo scafo e la chiglia e imbarcazioni impegnative da mantenere, già nel 1930 erano equipaggiate con strumenti progettati per gli aerei per misurare velocità della barca e del vento. Negli anni Quaranta tutti i modelli americani, Weetamoe, Yankee, Whirlwind, Enterprise, Rainbow e Ranger, furono svenduti per recuperare materiale per la guerra. Andò meglio anche per i 23 metri del modello internazionale, tutti trasformati in J Class, all’istituzione dell’Universal Rule. Non andò poi così bene a Britannia, affondata nel 1936, White Heather, la cui chiglia fu riutilizzata per Velsheda ed Endeavour, venduta per noccioline.

Grazie agli sforzi di Elisabeth Meyer, i J Class esistono ancora: dal 2004 ne vennero costruiti nuovi modelli. La prima fu Ranger, costruita per il magnate John A. Williams, replica dell’omonima barca del 1937. Nel 2009 James “Jim” Clark di Netscape, Silicon Graphic e my CEO, decide di far rinascere Endeavour II che ribattezzerà Hanuman. Il 2010 è l’anno di Lionheart, il J Classi di Harold Goddijn (se avete un Tom Tom in auto, allora avete contribuito alla sua fortuna), realizzata sulla base di un progetto che non aveva mai visto il mare. E’ poi la volta della replica di Rainbow, messa a punto per il tedesco Chris Gongriep, fondatore del cantiere navale Holland Jachtbouw. E poi arrivano Cheveyo nel 2013, Atlantis nel 2015 e K1 Britannia, la replica per eccellenza, in costante fase di refitting, pronte per le regate invernali ai Caraibi e quelle estive nel Mediterraneo: Il Trofeo Rolex di Portofino, le Reggattes Royal di Cannes, la St. Barth Bucker Regatta, la Superyacht Cup di Palma e la Maxi Rolex Cup di Porto Cervo in Sardegna. Il resto dell’anno sono disponibili per il charter.

Adesso si può immaginare: come sarebbe stato se Elisabeth Mayer fosse stata un’appassionata di scalate?

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